In questa mappa georeferenziata si presentano i risultati della ricerca curata dalla rete degli istituti e dalle associazioni dei territori che hanno promosso il progetto al fine di recuperare e valorizzare i luoghi della memoria del primo antifascismo legati a eventi ed episodi accaduti nella Toscana nord-occidentale e nella Liguria orientale tra il 1920 e il 1922.
Nell’anno del centesimo anniversario della «marcia su Roma» (28 ottobre 1922), gli istituti storici della Resistenza e le associazioni antifasciste dell’area della Toscana nord-occidentale e della Liguria orientale propongono un percorso di studi e di ricerca sulle caratteristiche del primo fascismo e del primo antifascismo sviluppatisi tra 1920 e 1922. Le origini di una delle più importanti contrapposizioni etico-politiche del Novecento affonda le sue radici nei turbolenti anni del primo dopoguerra.
Il progetto cerca di individuare una o più chiavi interpretative della genesi e dello sviluppo dello squadrismo antemarcia, la cui storia ha profondamente segnato i territori e le rispettive popolazioni con una scia di violenze inaudite, di lutti e distruzioni. I mesi che vanno dall’autunno del 1920 alla primavera del 1921 – con largo anticipo rispetto alla «marcia su Roma» – segnarono un punto di non ritorno, per un movimento illiberale e non ancora pienamente «politico» che si caratterizzò fin dall’inizio per una prassi violenta tesa, in particolare, ad annientare le organizzazioni del movimento operaio e popolare.
L’antibolscevismo, la crisi del parlamentarismo e della legittimità della classe dirigente liberale furono elementi di contesto decisivi per capire questo fenomeno, le cui radici vanno ricercate nell’esperienza del combattentismo, nel richiamo alla retorica della “comunità in armi” della prima guerra mondiale, ma – risalendo ancora più indietro – all’utilizzo della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti sociali diffuso nelle società europee sin dalla seconda metà dell’Ottocento.
Perché concentrarsi su un’area come la Toscana nord-occidentale e lo spezzino? Il territorio compreso tra Livorno e La Spezia è segnato da una stretta interconnessione della storia politica, sociale ed economica: un tratto di costa tirrenica, particolarmente segnato dalle violenze politiche e sociali, in cui emersero squadrismi e ras locali che avrebbero accompagnato la parabola di tutto il Ventennio. In un recente convegno di studi svoltosi a Sarzana è stato evidenziato come la stessa genesi e i protagonisti dei noti « fatti di Sarzana » del luglio 1921, evento di rilevanza nazionale, possano essere letti e compresi se collocati in una cornice più ampia e complessa. È necessario porre l’attenzione sulla genesi, la fisionomia, gli obiettivi e i tempi degli squadrismi di quel periodo, sul loro rapporto concreto con le élites, agrarie e industriali, e le istituzioni centrali e periferiche del Regno, sulla loro capacità di farsi portavoce di istanze di una prassi politica che faceva della violenza la sua principale caratteristica e che considerava gli avversari come nemici da eliminare fisicamente, come in un qualsiasi conflitto militare. Ricostruire questa storia locale significa soffermarsi sulle spedizioni, i pestaggi e le distruzioni del patrimonio democratico dei lavoratori, sui percorsi biografici dei protagonisti, sulle torsioni autoritarie dello Stato liberale, sulle risposte – violente e non – del movimento operaio.
Come è noto la Toscana (la «fascistissima») nel 1922 poteva vantare un quinto dei Fasci d’Italia, così come un sesto di tutti gli iscritti, anche se va specificato che quasi la metà dei fascisti toscani era concentrata a Firenze, vero e proprio polo nevralgico dello squadrismo regionale. Uno squadrismo famoso per la sua violenza, sorto in contrapposizione classista e frontale con la Toscana popolare, sia quella cattolica delle leghe bianche che quella del movimento operaio socialista e libertario, definita «turbolenta e bolscevica» e «antitaliana» da Giorgio Alberto Chiurco, istriano d’origine e senese d’adozione, autore della nota Storia della rivoluzione fascista (1919-1922). Un fascismo che nacque come fenomeno urbano, ma che ben presto si irradiò nelle campagne, sostenuto dalla neonata Associazione regionale degli agrari.
Come poté accadere tale fenomeno? Esistono delle peculiarità rispetto agli altri squadrismi del Regno? Quali furono le caratteristiche geopolitiche ed economiche che, in questo territorio, favorirono l’aggregazione di un fronte antidemocratico, oltreché antisovversivo? Quali furono i lati oscuri di questa tragica storia, e perché alcune centinaia di giovani pronti all’«avventura» furono trasformati in breve tempo in paladini dell’ordine attraverso una sistematica violazione di ogni legalità, sicuri della propria impunità di fronte alla legge e all’opinione pubblica? Chi erano i giovani squadristi e perché, pur predicando la rivoluzione e la distruzione dello Stato liberale, furono sostenuti da ampi settori di quello stesso Stato liberale? Perché buona parte degli apparati dello Stato scelsero l’illegalità per garantire la «legalità» del proprio potere? Quali furono i rapporti tra i gruppi dirigenti dell’imprenditoria agraria e industriale con gli squadristi? Queste sono solo alcune delle domande che ci poniamo oggi a cent’anni da quegli avvenimenti, e la ricerca delle risposte può essere un buon contributo alla costruzione di un antidoto verso vecchie e nuove forme di neofascismo di questo XXI secolo.