Articolo pubblicato su «Il Tirreno», 04/12/2022.
Ho conosciuto Michele Olivari alla fine degli anni Settanta, anni turbolenti e difficili sotto ogni punto di vista, frequentavo allora la Facoltà di lettere e il corso di storia moderna e contemporanea. Sia come studente che come militante (allora partecipavo alle attività del movimento studentesco e del gruppo anarchico locale) ebbi l’occasione di conoscerlo all’Università dove all’epoca, se la memoria non mi inganna, era assistente del professore Gabriele Ranzato che insegnava Storia della Spagna.
Michele non aveva nessun atteggiamento da professore, anzi il suo stile “dismesso”, la sua umiltà e la sua generosità oltre alla bontà, gli permettevano immediatamente di entrare in sintonia con noi studenti un po’ turbolenti, ma che eravamo fortemente attratti dalla sua grande cultura, nonostante la giovane età, e la sua grande professionalità.
Inoltre Michele, che aveva un curriculum studiorum di tutto rispetto, aveva partecipato attivamente alle lotte studentesche del biennio 1968/69, divenendo in breve tempo, per il suo impegno coerente, un punto di riferimento importante per chi, più giovane di lui, si affacciava per la prima volta all’impegno politico.
Lui che proveniva da una famiglia antifascista, il padre era stato un repubblicano, finì per ben due volte all’ospedale a causa di aggressioni violente subite da parte di alcuni “studenti” neofascisti. Il suo impegno antifascista l’ha sempre mantenuto per tutta la vita con coerenza e lealtà. Inoltre, era una persona che, senza darsene vanto, oltre ad avere capacità di ascolto si è sempre occupato degli ultimi, in particolare dei detenuti: sarebbe lungo fare l’elenco dei suoi interventi a favore di persone in difficoltà.
La sua formazione culturale e politica era prettamente anarchica. Aveva appreso i primi rudimenti ideali di “vecchi” libertari di Genova, la sua città di nascita, dove antica era la tradizione anarchica nel movimento operaio, poi a Pisa, dove era arrivato per studiare, aveva incontrato la vecchia guardia dei libertari pisani che all’epoca si riunivano nella sede di via San Martino 48, sopra la Pubblica Assistenza. L’unico luogo disponibile e aperto all’epoca per tutti coloro che si muovevano politicamente e socialmente al di fuori delle forze politiche “istituzionali”.
In quella sede conobbe Franco Serantini, e d i lui ci ha lasciato un bellissimo ricordo nell’intervista che gli facemmo nel 2002 in occasione del trentesimo anniversario della sua morte. Quando nel 1979 nacque la Biblioteca Franco Serantini, Michele ne fu contento e negli anni ha sempre sostenuto questo progetto con consigli e partecipando ad eventi e progetti.
La scomparsa di Michele è una grave perdita non solo per noi ma per tutta la città e l’Università, ma non ci dimenticheremo del suo sorriso e della sua intelligenza perché ci ha lasciato una grande eredità di ideali che con il tempo sapremo valorizzare.
Franco Bertolucci, Presidente della Biblioteca Franco Serantini